dòn II

Disse la donna: «Ci siamo.» Il treno andava lento tonfando. «Ci siamo. Doveva averla svegliata la signorina. È Roma.». (L. Bonanni, «L'adultera»)

Don Roberto. — Andate via, vi dico. Ho da parlare con mio figliuolo.

Leone. — La colpa è del fatto, caro mio! Sono nato. E quando un fatto è fatto, resta là, come una prigione per te. Io ci sono. (L. Pirandello, «Il giuoco delle parti»)

Don Marzio. — Che volete voi fare di questi sei zecchini?

Era la mattina d'una domenica quando finalmente Menico sgusciò nella camera del contino... e gli disse sottovoce...

«Davvero devo scappare... Ma non voglio lasciarti col broncio, troviamoci quando esco, verso il tocco, ci sei?». (V. Pratolini, «Le ragazze di Sanfrediano»)

Vanucci. — Don Paolo, don Paolo!

Di lì a un po' rientrarono a braccetto, don Filippo tornato un pezzo di zucchero con mastro-don Gesualdo. (G. Verga, «Mastro-don Gesualdo»)

— Ne domandiamo a Clenezzi, e Clenezzi, rosso come un Bacco, c'impasticcia che l'ha veduto anche stamattina, che va benissimo. (A. Fogazzaro, «Daniele Cortis»)

La Principessa divenne rossa in viso come brace. (I. Calvino, «Fiabe italiane»)

La contessa Tarquinia, rossa come una bragia, stava dicendo.... (A. Fogazzaro, «Daniele Cortis»)

...Poer'omo, diviense rosso dalla vergogna come un carbone acceso. (G. Nerucci, «Sessanta novelle popolari montatesi»)

Cosi dicendo, la giovinetta si fé' rossa come una ciliegia, e con atto leggiadro nascose il volto nel seno ad una delle sue donne. (A. G. Barrili, «Capitan Dodéro»)

— Ma io... — balbettò Merizzi, rosso come un gallo. (E. Cast elnuovo, «L'onorevole Paolo Leonforte»)

Fuori giornali, fuori lettere, fuori note. B., rosso come un gambero, guardava in fretta e furia carte e carte, le buttava per terra, sui sedili, sulle gambe degli amici. (A. Fogazzaro, «Daniele Cortis»)

Carlo. — Stai proprio benone. Sei rossa come una melagrana. (G. Fertoli, «Dichiarazione»)

...Una bocca rossa come un fior di melograno, dei capelli che sembravano oro filato. (F. Perri, «Emigranti»)

L'avvocato, rosso come un papavero, voleva protestare. (A. Fogazzaro, «Daniele Cortis»)

Si fece rossa come un papavero (G, Verga, «Mastro-don Gesualdo»).

Quando poi i superiori lo apostrofarono con quel «tu»... diventava rosso come un tacchino. (L. Preti, «Giovinezza, giovinezza»)

A sentirsi chiamar Polendina, compar Geppetto diventò rosso come un peperone dalla bizza. (C. Collodi, «Le avventure di Pinocchio»)

Il barone Zacco, rosso come un peperone, rientrò dal balcone. (G. Verga, «Mastro-don Gesualdo»)

Ed è diventato rosso, come un pinocchio, sopra gli zigomi. (E. Vittorini, «Il garofano rosso»)

— Vien qua, vien qua, — gridò comare Sidora, rossa come un pomodoro.... (G. Verga, «Novelle rusticane»)

L'Elisa diventò rossa come una vampa, fece un cipìglio nero e cavò l'orologio, una cipolletta d'argento. (A. Fogazzaro, «L'orologio di Lisa»)

...Il quale finse di non accorgersene, rosso al par di un gallo. (G. Verga, «Mastro-don Gesualdo»)

Va a sapere che fosse questo Don Farcuccio... sta di fatto ch'egli rimase senza mantello e senza cappuccio; anzi, secondo la leggenda, rimase addirittura senza niente addosso, tanto che, per coprire le pudende, decorosamente si mise una mano davanti e l'altra, dietro Dunque, restare come Don Farcuccio, significa perdere tutto, ridursi all'ablativo. (R.Grandi, «Motti e detti romaneschi»)

In meno di cinque anni la famiglia Ronda ha dato fondo ad un vistoso patrimonio, e adesso è all'ablativo assoluto. (H.A.Frenzel, «1000 idiomatische Redensarten Italienisch»)

Ma il giudice gli rispose che la Nina aveva già gli anni di giudizio, ed era padrona di fare quel che gli pareva e piaceva. (G.Verga, «Don Licciu Papa»)

Siete vedovo finalmente, e gli anni del giudizio li dovete anche avere per pigliare una risoluzione. (G.Verga, «Mastro-don Gesualdo»)

Don Gesualdo... se avete intenzione di farci fare la bocca dolce!.. Mi pare che sia tempo!... (G. Verga, «Mastro-don Gesualdo»)

Francesco. —...In verità non che si piacessero l'uno all'altra; piacevano tutti e due alla Natura che aveva da formare un marmocchio e doveva prendere con le loro zampe la castagna dal fuoco. (V. Brancati, «Don Giovanni involontario»)

— A mastro Vanni gli piacerebbe levar le castagne dal fuoco collo zampino di Piedipapera. (G. Verga, «I Malavoglia»)

E spiegò meglio la sua idea, cavare le castagne dal fuoco con le zampe del gatto; tirar l'acqua al suo mulino, e se capitava d'acchiappare anche il mestolo un quarto d'ora, e di dare il gambetto a tutti quei pezzi grossi che non era riuscito ad ingraziarsi. (G. Verga, «Mastro-don Gesualdo»)

Fabrizio. — Questo si chiama cavare la castagna dal fuoco colla mano altrui. Che vada Lindoro fuori di casa, e mi comprometto di guadagnare l'animo di Zelinda. (C. Goldoni, «Gli amori di Zelinda e Lindoro»)

Io ho bevuto il calice dell'emigrazione goccia a goccia e porto sul mio corpo e nella mia anima i segni di molteplici cicatrici. (M. Appelius, «Da mozzo a scrittore»)

Gabrio accennò a sua moglie di tacere, e deciso ormai a votare il calice fece chiamare il suo segretario. (E. Castelnuovo, «I Moncalvo»)

Don Juan aveva libato fino alla feccia il calice dei piaceri, senza tener calcolo mai delle lagrime cocenti. (M. Savini, «Fantasmi»)

...e poi piango con la faccia nel cuscino dicendo che voglio morire e dall'amica di lei non mi lascio toccare neanche una mano, solo e orfano bevo fino alla feccia il mio calice d'agonia. (G. Berta, «Il male oscuro»)

Mi sembrava di aver sofferto già molto! Pensavo di aver già fatta la mia parte! Come m'illudevo! Quelle furono le prime gocce, le più dolci o le meno amare di un calice amarissimo, che dovevo bere fino all'ultima stilla. Il prologo di un dramma di ferro e di fuoco (Don Sante Bartolai, «Da Fossoli a Mauthausen. Memorie di un sacerdote nei campi di concentramento nazisti»).

...come vide passare il barone Zacco colla coda tra le gambe, gli mostrò la pistola. (G. Verga, «Mastro-don Gesualdo»)

Poscia, vedendo passare il cugino Trao, il quale se ne andava con la coda tra le gambe, la testa infossata nelle spalle, barcollando, lo fermò sull'uscio. (G. Verga, «Mastro don Gesualdo»)

Puccini... si riconosce colpevole, ma non sa ancora piegare il capo. (C. Sartori, «Puccini»)

Però alle volte il bisogno fa chinare il capo anche ad altro!. (G. Verga, «Mastro-don Gesualdo»)

...dovettero chinare il capo a codesto, chinare il capo a medici e medicamenti. (G. Verga, «Mastro-don Gesualdo»)